2006 – Stagioni

Stagioni Galleria d'arte Micrò 2006

Stagioni

Galleria d’arte Micrò

Piazza Vittorio Veneto 10 – Torino

Testo di Gianfranco Schialvino

Elisabetta Viarengo Miniotti, a ripercorrerla adesso, dopo tanti anni di attività, mi sembra faccia emergere un particolare ed imprevisto inedito elemento strutturale di lettura del suo lavoro. Credo in effetti di avvertirvi, all’interno, un andamento circolare (ove, ad una indagine lieve, e meramente formale ed estetizzante, nell’unitario divenire della sua personalità artistica, potrebbe accadere di riconoscere una dinamica rettilinea, ovviamente irreversibile).

Molte appaiono invero, insieme alle permanenze iconiche, le ricorrenze stilistiche ed i sopravvenienti ritorni, accanto ancora a periodiche occasioni di voli liberi, nella puntuale appartenenza ad un’avventura culturale sempre aggiornata.
Appare dunque estremamente logico, pur nella sua serendipità, il titolo di questa mostra, Stagioni; a voler in qualche modo intendere nella propria coscienza d’identità esistenziale, intima ed operativa, una verità di dinamismo frenato e circoscritto, nella ricerca specifica di una dialettica formale, senza tumulti eccessivi né provocazioni travolgenti; nell’ambito di un imprescindibile dinamismo inventivo, certo, ed in una simbolica caratterizzazione poetica.
Elisabetta fonda le ragioni del proprio produrre in un privato emotivo ed immaginativo, che fonda in sensi panici le motivazioni di una pronunciata, viscerale ed austera indagine sulla natura, nei termini prossimi di una ricerca che, in voga agli inizi del suo percorso artistico, in una sincretica formula venne battezzata “astratto-concreto”.
Sostanzialmente appartata in una istintiva diffidenza, intellettuale e psicologica, al frenetico
susseguirsi di eventi effimeri e mode culturali, il suo modus operandi si basa sulla cieca fiducia nella costruzione di un personalissimo universo di spazialità cromatica, che esalta, in un pragmatico entusiasmo creazionistico, con la piena partecipazione dei sensi, il mezzo archetipo del “fare pittura”: il colore. Il risultato di questa paziente alchimia, di ansia d’identità, di immaginario e vissuto, di pratica artigiana e di attivismo inventivo, sedimentata nel rapporto fisico con l’ambiente e in una precisa matrice poetica, è un’immagine assolutamente pittorica, un particolare impianto cromatico di comporre la scena, in consistenti e suggestionanti motivazioni iconiche.

Stagioni - pieghevole
Stagioni – Galleria d’ Arte Micrò – 2006


Elisabetta è pittore di tempi lenti, lunghi, sostanzialmente legata ai ritmati ritorni ciclici della natura, autarchica, orgogliosa della propria diversità ed autonomia. In lei il colore è canto ed armonia; una musica che permea i sensi, l’immersione nella luce della tavolozza. Il concerto dei gialli dorati profuma di grano, l’azzurro in cui danza la nuotatrice sa di salmastro, la nebbia invischia i pampini in pungenti umidori, le betulle stillano rugiada e brillano neve. È il colore, palpitante di vita, gonfio ora di lucori ora di abbagli, la materia georgica della sua dimensione emotiva: nella plastica immerge spighe e fiori, nella liquidità le ondine sinuose, nell’aerino nubi e rami e farfalle. Non sono simbolismi gratuiti, ma emozioni rivissute, riproposte con la reinvenzione del creato, con intensa capacità evocativa di sensualità impulsive, nel suo ritmo, nell’affascinante alternanza, esaltante e macerante, di emotività contingenti, nell’interrogativo inesauribile della vita.
L’accezione naturalistica si affastella di segni, cromaticamente omogenei, che animano le figure dall’interno, legati in un fitto accostamento e qualche viluppo; talvolta il groviglio si dirada, scompaiono le sottolineature della lacerazione interiore che sgravida l’immagine, e le linee si dispiegano nello spazio, diradano fino ad originare la macchia e l’estesa campitura tonale, ad immergersi in una differente seppur parallela formulazione linguistica, privilegiando il piano alla linea; talaltra il tratto prevale, quasi fosse inciso nella materia, in un intrico che scandaglia, coinvolgendo nelle tensioni emotiva e passionale l’estetica formale della pagina. Ciò accade soprattutto nella grafica, dove il gesto diviene metamorfico graffio, lacerazione e ferita, in scattanti diramazioni e sovrapposizione di intrecci, in una sintesi che affida l’esito ai pastelli ed ancor più al ferro che imprigiona la lastra, ed il succedaneo foglio, in un tatuaggio che accantona ogni aspetto estetizzante, per rinsaldare nell’assenza del colore l’impianto strutturale ed espressivo. La strada di Elisabetta conduce alla costruzione plastica di una emozione visiva. Non c’è certo da nascondere quanto l’avventura della memoria e del sentimento, la presenza dell’esistenza umana, la coscienza dell’anima, invadano e puntualizzino l’ipotesi stilistica. L’accrescano anzi di poesia.

Stagioni - Corriere dell'arte
Corriere dell’Arte – Testo di Gianfranco D’Angelo